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lunedì 30 luglio 2018

Le recensioni irriverenti di Jules - #3 "Una vita tranquilla" di Tacy Ryan

Buongiorno, oggi tiriamo fuori la nostra vena cattiva, torna la mia amica Jules



La rubrica avrà cadenza casuale e Jules darà il suo parere irriverente stroncando un libro che non le è piaciuto.

Questo titolo gliel'ho suggerito io, dopo averlo tanto detestato (la mia recensione qui.)
Io che sono una brutta persona mi sono divertita molto a sentire i commenti di Jules mentre leggeva e pure con la sua recensione.

Sono presenti piccoli spoiler sull'inizio del libro

Autrice: Tracy Ryan
Titolo: Una vita tranquilla
Editore: Newton Compton
Data di pubblicazione: 25 settembre 2015
Pagine: 250

Trama:
Pen Barber conduce una vita tranquilla a Perth, in Australia, con il marito Derrick. La loro relazione sembra serena, anche se negli ultimi tempi è diventata sempre più monotona e grigia. 
Un giorno però, mentre stanno facendo dei lavori per rinnovare la loro casa, la donna scopre casualmente una lettera che Derrick ha scritto a una sua vecchia fiamma dell’università, Kathleen Nancarrow. Pen non riesce a credere ai propri occhi: in quelle pagine, risalenti a parecchi anni prima, Derrick pone Kathleen, che lo aveva sedotto quando era ancora uno studente, davanti a un ultimatum e le dice che se lei non tornerà, lui sposerà l’ignara Pen. Il mondo di Pen si sgretola in un istante. Non si era mai considerata un ripiego, ma la lettera è chiarissima: quando l’ha sposata, Derrick era in realtà innamorato di un’altra. Comincia così per lei un vero incubo, fatto di bugie e indagini nelle pieghe del passato, e Pen si ritrova a mettere in discussione tutte le sue certezze. Presto infatti la ricerca assumerà i contorni di una vera e propria ossessione nei confronti della sua rivale…
E se la persona di cui ci fidiamo fosse proprio quella di cui sospettare?

Pen Barber conduce una vita tranquilla a Perth, in Australia, con il marito Derrick. La loro relazione sembra serena, anche se negli ultimi tempi è diventata sempre più monotona e grigia. 
Un giorno però, mentre stanno facendo dei lavori per rinnovare la loro casa, la donna scopre casualmente una lettera che Derrick ha scritto a una sua vecchia fiamma dell’università, Kathleen Nancarrow. Pen non riesce a credere ai propri occhi: in quelle pagine, risalenti a parecchi anni prima, Derrick pone Kathleen, che lo aveva sedotto quando era ancora uno studente, davanti a un ultimatum e le dice che se lei non tornerà, lui sposerà l’ignara Pen. Il mondo di Pen si sgretola in un istante. Non si era mai considerata un ripiego, ma la lettera è chiarissima: quando l’ha sposata, Derrick era in realtà innamorato di un’altra. Comincia così per lei un vero incubo, fatto di bugie e indagini nelle pieghe del passato, e Pen si ritrova a mettere in discussione tutte le sue certezze. Presto infatti la ricerca assumerà i contorni di una vera e propria ossessione nei confronti della sua rivale…

E se la persona di cui ci fidiamo fosse proprio quella di cui sospettare?

Ed eccomi qui, a prendere in considerazione un libro che per me ha costituito una “nuova frontiera” delle letture trash: un thriller psicologico.
Mai avrei pensato che si riuscisse a scadere nel trash in un genere come questo, ma in questo caso mi sento proprio di dire che è così e vorrei provare a spiegare il perché.
A me piacciono i thriller e i gialli: mi piacciono così tanto che credo di aver cominciato a leggerli prima dei dieci anni (senza contare che, già allora, conoscevo a memoria tutte le puntate della Signora in Giallo e del Tenente Colombo...); perciò devo dire che questa lettura è stata davvero anomala. Quando mi dedico a questo genere, mi piace seguire il corso della storia, immergermi nelle indagini, provare a scoprire chi sia il colpevole e quali motivazioni ci siano dietro il suo gesto.
Nel caso in questione, invece, l’unico istinto che la lettura mi ha risvegliato è stato quello del serial killer: alla seconda pagina avrei già voluto uccidere tre dei personaggi, uno dei quali non era nemmeno apparso di persona, ma solo evocato dai pensieri della protagonista.
Perciò parto proprio da lei: Penelope, detta Pen, che mi è sembrata dal principio una delle donne più insulse sulla faccia della terra (esistono donne insulse? Se parliamo di Pen, direi proprio di sì). Pen ha trent’anni, ha un rapporto piuttosto conflittuale con la madre ed è la classica moglie che vive e compie le sue scelte in funzione dei desideri e delle aspettative del marito: cucina quello che piace a lui, legge quello che lui vuole vederle leggere (lei amava i romanzi “di genere”, per lui erano letture indegne di essere considerate tali, perciò la spinge a scegliere letture più “impegnate”: tema di attualità, questo, perfettamente in linea con certe affermazioni che hanno fatto tanto rumore nei giorni scorsi, dopo l’ormai famoso articolo riguardo il RARE di Roma). Lavorano perfino nella stessa scuola, dove lei è “un’umile segretaria” (si definisce più o meno così), mentre lui è un professore molto capace e apprezzato. Ovviamente lei lavora part time, così ha il pomeriggio libero per occuparsi della casa che vogliono ristrutturare insieme, senza l’aiuto di nessuno. Pen non si ritiene all’altezza di niente e di nessuno. È come se questo senso di inadeguatezza le fosse stato inculcato fin da piccola, una specie di “educazione alternativa”. Dall’inizio alla fine del libro si comporta in modo talmente passivo che mi è venuto naturale pensare che le disgrazie, lei, se le vada proprio a cercare: è una specie di parafulmine che attira tutto il peggio che la circonda.

Parlando di disgrazie, passiamo alla mamma di Pen, la signora Stone: credete di avere una madre invadente, irritante e perfida fino al midollo? Penso che in confronto a questa donna, anche quella che potrebbe sembrare la madre peggiore del mondo, verrebbe riabilitata. Sul serio: perfino la strega cattiva di Biancaneve potrebbe prendere lezioni da lei! Lo scopo della vita della signora Stone è assicurarsi che la propria figlia continui ad ignorare il concetto di autostima; vive per criticarla, per dimostrarle che sbaglia, per farle notare le sue mancanze. Al posto di Pen, l’avrei avvelenata a pagina 2, visto che il libro si apre con loro che prendono il tè. Ovviamente la madre fa notare alla figlia che la teiera che ha scelto è bella ma pressoché inutile, visto che non tiene l’acqua calda abbastanza a lungo. Ogni volta che compare nel libro è per muovere critiche più o meno esplicite allo stile di vita e alle decisioni della figlia o, in alternativa, per deriderla.

Ultimo personaggio che mi ha ispirato l’omicidio immediato prima ancora di comparire è Derrick, il marito di Pen. Quest’uomo si comporta come una specie di Pigmalione, che plasma la manipolabile Pen cercando di renderla il più possibile corrispondente al proprio ideale di donna, o almeno questa è l’idea che mi sono fatta. Lui le dice cosa leggere, cosa guardare (film di un certo spessore); le dice che deve imparare le lingue e le procura libri apposta, sostiene che devono essere più socievoli, “migliorarsi” ... Devo specificare che io un uomo così lo defenestrerei alla prima occasione utile? Peccato che vivano al piano terra.
Alcuni episodi del passato di Pen vengono proposti man mano attraverso qualche flashback che interrompe la narrazione e che mi hanno in parte disturbata dal momento che da uno di questi ricordi emerge una donna completamente diversa, che ha avuto la forza di accollarsi la responsabilità di fornire a suo marito i mezzi per finire gli studi, per poi trovargli perfino un lavoro che fosse all’altezza delle sue enormi potenzialità. Mah. Pensandoci bene, anche da qui traspare la sua propensione a fare lo zerbino.

Il passato di Derrick è più oscuro: sappiamo che ha conosciuto Pen durante il periodo in cui era ricoverato in ospedale per un esaurimento nervoso, provocato dalla fine della storia con una sua professoressa, Kathleen Nancarrow, che lo aveva sedotto quando lui aveva solo diciassette anni.

Mentre Pen si occupa dei lavori in casa (perché a chi vuoi che tocchi buona parte del lavoro di ristrutturazione fai-da-te? A quella che ha l’impiego part time, ovviamente), trova casualmente una busta indirizzata a Kathleen Nancarrow, spedita alla donna da Derrick ben dieci anni prima. La busta era tornata al mittente senza venire aperta. Divorata dalla curiosità, Pen non si fa scrupoli ad aprire la lettera: pur non avendo mai visto la donna, conosce tutta la storia, quindi sente il bisogno di scoprire cosa avesse da dirle il marito (all’epoca avevano cominciato a frequentarsi da poco). Non l’avesse mai fatto! Con suo grande sgomento, Pen si trova a leggere parole piene di sentimento, intense dichiarazioni d’amore che lei non si è mai sentita rivolgere. Il colpo di grazia arriva verso la fine della lettera, dove Derrick chiede a Kathleen una risposta, “minacciandola”, in caso di un suo silenzio, di sposare Pen.
La poverina, ovviamente, si sente crollare il mondo addosso: tutte le sue certezze vabè, se vogliamo chiamarle così crollano e lei si sente come una specie di ruota di scorta (in realtà sei uno zerbino e nemmeno te ne accorgi, cara mia), la seconda scelta, la capricciosa ripicca di un amante respinto. La donna comincia a dare prova della sua capacità di essere paranoica e comincia ad interpretare i comportamenti e le parole di suo marito alla luce della rivelazione ricevuta dalla lettera. Convinta di vivere un’enorme menzogna, Pen decide infine di andare alla ricerca di Kathleen Nancarrow e, grazie ad una ricerca su Google (non facciamo commenti...) riesce a trovarla. Decide di prendere contatti con lei e fa la sua conoscenza. Perché, mi sono domandata, visto che questa donna aveva rifiutato perfino di aprire la lettera del suo ex amante dieci anni prima? Non si capisce cosa la spinga a prendere questa decisione e non lo sa nemmeno Pen che, per un istante (un solo, brevissimo, insignificante istante), si domanda se non sia il caso di uccidere la sua rivale, ma poi cambia idea. Questa indecisione mi è sembrata l’apoteosi dell’assurdità di questo libro.

Qui, però mi fermo, perché in un thriller trovo sarebbe sacrilego svelare troppo della trama, anche se in questo caso la trama è davvero molto scarna e il delitto si consuma in modo piuttosto stupido a poche pagine da un finale ancora più insulso. Davvero, leggendo l’ultima pagina mi sono sentita presa in giro: la mia impressione è stata che l’autrice sia rimasta completamente sbarellata, ad un certo punto, dopo aver avuto a che fare con la stupidità della sua protagonista per pagine e pagine. Il titolo originale di questo libro è “Claustrophobia” e lo trovo molto più calzante di quello con cui è stato presentato in Italia: dalle prime pagine il lettore si trova invischiato nella mente ristretta di Pen, senza apparente via di fuga e con il terrore di non potersi più liberare. A me ha fatto venire voglia di mettermi a urlare, di dire parolacce (e ne dico davvero davvero pochissime, di solito, lo giuro), di lanciare via il mio povero e-reader... Insomma, thriller psicologico soprattutto perché, come avevo accennato all’inizio, scatena irrefrenabili istinti violenti. Una prova? Alla fine ero talmente inviperita e assetata di sangue, che ho sentito il bisogno di trovare un altro finale (fidatevi, quello originale fa davvero schifo); mi ci sono dedicata nei ritagli di tempo e l’idea iniziale era di limitarmi a poche parole, una traccia anche piuttosto vaga. Inutile dire che mi sono lasciata prendere la mano e ne è venuto fuori uno spin off che ho intitolato “Una Vita Perfetta”.  Ho mandato il manoscritto (sì, letteralmente manoscritto, perché l’ho proprio scritto a mano su un blocchetto) alla mia “Comandante”.

Prima di dare il voto, vorrei fare un piccolo appunto. Scrivendo questa recensione, mi sono resa conto che buona parte del mio “odio” nei confronti di Pen, probabilmente, deriva dal fatto che troppo spesso, anche a me è capitato di non sentirmi all’altezza di una situazione, e decidere di rinunciare a qualcosa senza nemmeno avere fatto un tentativo. Mi sono anche accorta che sto rischiando di nuovo di commettere lo stesso errore, riguardo una cosa a cui tengo e che stavo pensando di lasciar perdere. Ma, come si dice, o la va o la spacca: l’importante è non tradire mai se stessi e fare il possibile per non rinunciare ai propri sogni. 

E dopo il momento serio, il voto. Dal momento che è stato traviato uno dei miei generi preferiti, e che la delusione è ancora bruciante, direi che Non Classificabile è la sola valutazione che mi sento di dare. 








4 commenti:

  1. Cara Jules mi sa che farò tesoro delle tue recensioni. Mentre leggevo mi hai fatto provare lo stesso fastidioso istinto omicida verso i personaggi 😂

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    Risposte
    1. Grazie, Anna!
      Mi fa piacere che traspaia il fastidio che questi personaggi mi hanno procurato fin dalla prima pagina. Li ho trovati tutti piuttosto insopportabili (perfino quelli secondari), alcuni più di altri.
      Il bersaglio ideale per gli istinti distruttivi che capitano ogni tanto.


      -Jules-

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  2. Me ne sono capitati di thriller, che millantano di essere adrenalinici ed esplosivi, anzi, che millantano proprio di essere thriller e invece sono delle ridicole storielle con personaggi altrettanto ridicoli che fanno venire a te il raptus omicida.
    Straordinario articolo Jules, complimenti

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    Risposte
    1. Ciao Maryella!
      In effetti qui il raptus ti viene fin dalle prime frasi.
      Nel mio caso è degenerato al punto da spingermi a scrivere un "finale alternativo" con un bagno di sangue.
      Sono una pessima persona, a volte.


      -Jules-

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