Quando ho comprato questo libro,
credo appena uscito, non avevo nessuna idea di chi fosse l’autore, di che
parlasse, in quale epoca fosse ambientato. Niente di niente. Solo colpita dal
titolo: avevo immaginato una di quelle storie d’amore struggenti in cui uno dei
protagonisti va via e l’altro resta ad aspettare che il dolore passi e che
tutto sia sepolto dalla vita quotidiana.
Niente di più lontano all’orizzonte.
Intanto a partire dalla scrittura, una prima persona, insolita e non sempre
amata, almeno da me, ma rivalutata nel momento in cui ho capito che era una
specie di diario che una madre scrive alla figlia. Dico una specie perché,
pur non essendo premesso esplicitamente, si evince con l’avanzare della lettura
il motivo per cui una madre sia costretta a parlare con la propria figlia,
attraverso delle pagine che, molto probabilmente, non le arriveranno mai.
Purtroppo non si trattava di una
storia d’amore travagliata, ma la descrizione di uno dei periodi più cupi e
tragici della storia italiana: il Periodo Fascista e la conseguente Seconda
Guerra Mondiale, ma non vista dalla parte italiana che, bene o male, conosciamo
tutti, o solo attraverso i libri di scuola, o attraverso saggi e romanzi che
negli anni ci hanno accostato ad un periodo tanto buio della nostra storia, no,
stavolta si parla attraverso il punto di vista di un altoatesino.
Confesso immediatamente la mia
ignoranza, dicendo che non solo non conoscevo la difficoltà che gli abitanti di
quella zona hanno dovuto affrontare, trovandosi proprio a metà strada tra
Italia ed Austria, tra Fascismo e Nazismo, tra la lingua italiana e quella
tedesca, ma che, in tanti anni di bombardamenti da ogni dove sul Fascismo, non
mi ero neanche mai posta la domanda su come le piccole identità così lontane
dall’Italia, pur essendo da poco diventate italiane, potessero aver vissuto
quel Momento.
E sì, dal punto di visto storico,
ricordo che il romanzo non si fregia, assolutamente, di voler essere un romanzo
storico, ma un semplice romanzo, fornisce molti interrogativi da cui
partire, per poter affrontare ricerche più ampie e propriamente storiche. È la
reale descrizione di un intero paese che, non solo, deve affrontare una guerra,
con tutto lo scompiglio che provoca in qualunque parte del mondo si viva o da
qualunque trincea si scelga (o non si scelga) di stare, ma la deve affrontare
non sapendo neanche bene cosa si sia, visto che loro, e credo che per gli
abitanti dell’Alto Adige, se non tutti, molti, si sentono tedeschi ma
territorialmente sono italiani.
Ciò che accade a questo piccolo paese
di montagna, Curon, è sconvolgente, soprattutto dopo la seconda guerra
mondiale, perché nel momento in cui si dovrebbe ricostruire un’identità, dar
nuova vita ad un territorio e ad un popolo, in cui tornare alla normalità dovrebbe
essere l’unico obiettivo di persone già strapazzate abbastanza da due regimi
totalitari, queste persone si vedono togliere quello che di più caro abbiano.
La loro terra. Le loro radici. La loro vita. La loro fatica ma anche la loro
forza. Il loro sudore ma anche i loro sorrisi. Si vedono togliere la
possibilità di vivere con gli animali che su quella terra ci pascolano sopra da
generazioni, si vedono strappare dalle mani tutto quello che hanno
dolorosamente e faticosamente ottenuto negli anni. Vedono vanificarsi davanti
agli occhi i sacrifici di una vita e solo perché sulla loro Curon devono
costruire una diga.
Seconda ammissione di ignoranza, più
totale: io non avevo mai sentito parlare di questa vicenda. Se non fosse stato
per questo libro, che mi ha spinto a fare ulteriori ricerche, sarei rimasta
nella totale non-conoscenza.
Ecco. Se dovessi spiegare in poche
parole il libro ed il suo significato, lo esprimerei dicendo semplicemente
quanto una famiglia, in verità poche persone, si siano battute, fin dove
potessero arrivare con le loro precarie forze, con un potere, sia ecclesiale
che temporale, che non li ha mai ascoltati veramente, per poter salvare quello
che di più prezioso avessero: la loro terra, le loro origini, il loro passato ed
il loro futuro.
Era la mia prima esperienza con
questo autore, Marco Balzano, e debbo dire che non mi sia dispiaciuta, anche se
avrei voluto andasse più in profondità in alcune vicende, e non mi riferisco
alla Grande Storia, perché ripeto questo non è un romanzo storico, ma almeno
nelle storia della diga e forse anche nella storia di Trina, la narratrice e di
suo marito Erich. Ci sono interrogativi che non hanno avuto risposta e, certo,
se questo da una parte lascia un finale aperto, dall’altra mi ha lasciato un
po’ il senso di insoddisfazione.
Ho questo libro in wish list da tantissimo tempo e ogni volta che leggo una recensione mi riprometto di recuperarlo sempre, perchè amo le storie che mi permettono di accrescere la mia cultura :-)
RispondiEliminaEcco, mi ha aiutato proprio a conoscere qualcosa che ignoravo totalmente! Ludovica
RispondiElimina