mercoledì 1 ottobre 2025

Recensione di Ludovica - Tu leggi? Io scelgo! - "Tutta la vita che resta" di Roberta Recchia

 Buongiorno lettori, oggi tocca a Ludovica, per questa rubrica che amo molto, nata dall'idea di Rosaria e ora gestita da me e Chicca. Se vi facesse piacere partecipare fatemi un fischio.


La rubrica, a cadenza mensile, consiste nel leggere un libro recensito da un altro blog partecipante. 

Questa volta ha scelto tra le recensioni di Floriana, e ha scelto questo titolo.
Il libro:
Autrice: Roberta Recchia
Titolo: Tutta la vita che resta
Editore: Rizzoli
Data di pubblicazione: 5 marzo 2024
Pagine: 400

Trama:
Uno strappo che sembrava impossibile da ricucire, una famiglia che nel corso degli anni ritrova la strada nella forza dei legami.
Ci sono libri che ti entrano dentro, che ti accompagnano per mano nella vita di tutti i giorni. È ciò che succede con l'esordio magnetico di Roberta Recchia, una storia da cui non ci si stacca, con protagonisti vivi, autentici. Come Marisa e Stelvio Ansaldo, che nella Roma degli anni Cinquanta si innamorano nella bottega del sor Ettore, il padre di lei. La loro è una di quelle famiglie dei film d'amore in bianco e nero, fino a quando, anni dopo, l'adorata figlia sedicenne Betta - bellissima e intraprendente - viene uccisa sul litorale laziale, e tutti perdono il proprio centro. Quell'affetto e quella complicità reciproca non ci sono più, solo la pena per la figlia persa per sempre. Nessuno sa, però, che insieme a Betta sulla spiaggia c'era sua cugina Miriam, al contrario timida e introversa, anche lei vittima di un'indicibile violenza. Sullo sfondo di un'indagine rallentata da omissioni e pregiudizi verso un'adolescente che affrontava la vita con tutta l'esuberanza della sua età, Marisa e Miriam devono confrontarsi con il peso quotidiano della propria tragedia. Il segreto di quella notte diventa un macigno per Miriam fin quando - ormai al limite - l'incontro con Leo, un giovane di borgata, porta una luce inaspettata: l'inizio di un amore che fa breccia dove nessuno ha osato guardare. Tutta la vita che resta è un romanzo prezioso e dolcissimo, doloroso, accogliente, intimo e corale, che esplora i meccanismi della vergogna e del lutto, ma soprattutto dell'affetto e della cura, e li fa emergere con una delicatezza sapiente, capace di incantare e sorprendere.



 Generalmente evito come la peste libri che trattino, anche lontanamente, temi sulla violenza sulle donne, ancor di più se giovani adolescenti e quelli che abbiano avuto un successo quasi indiscusso. I primi, per schivare un trasporto e un senso di perdita che mi prende sempre davanti ad argomenti, ancor di più se fatti di cronaca, con un impatto emotivo che non riesco più a controllare, da quando sono diventata madre. I secondi, perché i libri che sono piaciuti a tutti, o comunque alla maggior parte, mi fanno pensare ad un politically correct che negli ultimi anni scongiuro. Ovviamente scegliendo questo romanzo dalla biblioteca di Floriana, La biblioteca del libraio (forse un giorno riuscirò anche a capire come facciano i libri a scegliere noi, proprio quando non vorremmo essere scelti) sono venuta meno ad entrambi i miei dictat.

Ma, come dice Oscar Wilde, riferendosi alle tentazioni, per liberarsene bisogna solo soccombere ad esse, quindi eccomi qui, seduta di fronte ad una violenza, in cui la vittima, una giovane e bella sedicenne, addirittura perde la vita.

È così che ho dovuto fare mio (perché i libri su di me hanno questo potere: farmi immedesimare fino a scomparire) il dolore di una madre a cui il marito comunica ciò che è successo in una assurda notte di estate, in un luogo familiare come la spiaggia in cui Elisabetta è diventata ladolescente viva ed esuberante e vitale e frizzante. Non solo una morte atroce, ma anche una violenza carnale sul corpo che sprizzava energia da tutti i pori.

Ho fatto mia la sofferenza, ma anche lo sdegno, di una madre che si è sentita accusare di non aver saputo fare la madre, lasciando Elisabetta troppo libera di pensare di andare e di dire. Da chi poi? Da chi avrebbe dovuto solo aiutarla a superare un dolore inconsolabile ed una ferita impossibile da ricucire: sua madre Letizia e sua sorella Emma, che invece di voler fare luce sulla vicenda, trovando colpevoli e punendoli, hanno cercato in tutti modi di insabbiare quelle già esigue informazioni che erano venute fuori. Si potrebbe pensare che volessero, in qualche modo, anche se non giusto e corretto, salvaguardare la cugina di Elisabetta, la figlia di Emma, cioè Miriam?

Credo che no, a parlare sia stata solo la vergogna di un fatto che invece avrebbe dovuto fare bollire loro il sangue di rabbia.

 

Miriam è laltra vittima di questa storia, così diversa da Elisabetta, così schiva e timida, che da quella notte è morta un poanche lei. Miriam, a differenza di Elisabetta, è morta dentro ma è costretta a respirare e vivere, anche se si impegna con tutte le forze rimaste, anche facendosi molto male, ad uccidersi un poogni giorno, non mangiando, non dormendo e rinchiudendosi in un silenzio che crede laiuterà a dimenticare. Dimenticare quella notte, quei ragazzi su Elisabetta, quegli uomini dentro di lei, sua cugina morta a pochi passi da lei.

Tra le critiche negative a questo romanzo, prima opera di Roberta Recchia, ho letto di un finale troppo sdolcinato e dinamiche forse un poscontate. Credo fermamente che lautrice abbia saputo, invece, con parole semplici e poco arzigogolate, discorsi immediati e per niente artificiosi o ingarbugliati, dare uno spessore ad una storia che non aveva bisogno di orpelli, ma solo di dolcezza e cruda realtà. E nientaltro. Credo anche che nella vita di persone che abbiano toccato con mano un dolore così forte, come Marisa e Miriam, ci sia bisogno di un Leo e di una Corallina a far tornare un equilibrio smarrito fino al loro arrivo.

Miriam non merita un podi pace, un podamore, una carezza che finalmente parli di tenerezza e non di un’assurda violenza?

E se arriva per mano di un ragazzo di borgata, Leo, che con semplicità ed onestà le faccia tornare il sorriso e la fiducia nel genere maschile, non è una bellezza e basta?

E se arriva per mano di Corallina, che ha scoperto la felicità solo dopo essersi liberata da Pietro, che per anni aveva occupato il suo corpo senza sapere niente della sua femminilità, che riuscirà ad abbattere i muri di diffidenza con un’innocua “pagnottella di pane, non è una meraviglia che un libro possa dare?

 

Il mio cuore si è accartocciato più volte, per Marisa, per Stelvio, per Miriam, per Leo e per Corallina, perché sono tutti personaggi che si trascinano per lunghissimo tempo un dolore, uninadeguatezza e un silenzio assordanti.

Ma dove c’è una mano che si tende c’è sempre un cuore che reagisce alla solitudine, allo spavento, alla tragedia, allassenza, alla “dimenticanza”, termine bellissimo che la Recchia usa più di una volta.

Non credevo mi sarei lasciata rapire da una storia così drammatica, ed invece la scrittura ha anche il potere di farti ricredere su vecchie, e forse superate, convinzioni.

 Voto: 4*

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Grazie Dolci per la grafica

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