Non
so quanto riuscirò ad essere obiettiva e razionale e non farmi, invece,
trascinare dal cuore in questa recensione, un po’ perché questo è l’effetto che
la Bonalumi mi provoca sempre, e sono molto contenta di aver scelto questo
libro proprio da Chicca, perché lei fu la prima a consigliarmi questa autrice;
un po’ perché si parla di cavalli, e parlare di cavalli,
senza pensare a mio padre, morto due anni fa, è praticamente impossibile, visto
che lui viveva per i cavalli. Che è poi il motivo per cui, invece, io negli
anni abbia sviluppato una sorta di repulsione per tutto ciò che riguardasse
questo mondo, che respiro e respingo praticamente da quando sono nata.
Nelle
pagine in cui si sviluppa il rapporto della protagonista, Nina, una ragazzina
che ha trovato tutto il suo mondo in un maneggio, unico posto in cui riesca a
respirare la serenità che a casa con sua madre non riesce proprio a trovare, ed
il suo cavallo, Holden, feritosi ad una zampa, dopo aver calciato il suo box,
in un impeto di desiderio di libertà, io ho ritrovato la me stessa adulta,
madre di una piccola amazzone, che l’accompagna e la sostiene in questo
incondizionato amore nei confronti di un animale, pur non capendo assolutamente
cosa la possa spingere ad amare, appunto, così incondizionatamente.
Ho
imparato da Penelope, mia figlia, e l’ho ritrovato in questo splendido
personaggio, Nina, uscito dalla penna della Bonalumi, che il legame che lega un
cavaliere al suo cavallo va al di là di un semplice rapporto con un qualsiasi
animale domestico, peraltro noi a casa abbiamo di tutto, quindi parlo con
cognizione di causa, è un legame fatto di fiducia, è un legame di amore, fatto
di odori, fatto di carezze, di consuetudini,
di accudimento, di totale perdizione nell’altro.
Come
dicevo, Nina, ha un rapporto conflittuale con la madre, come se in fondo
incolpasse lei dell’assenza di un padre nella sua vita, mentre invece trova
nella nonna la figura a cui confidare la sua preoccupazione per Holden ed anche
lo stupore e la felicità nel trovarsi in un luogo dove Holden dovrebbe
riabilitare la sua zampa ferita.
Se
la prima parte del libro è sviluppata in un contesto molto rumoroso e vivo del
maneggio e della città in cui Nina e la madre vivono, tutta la seconda è invece
ambientata in un posto che lei più volte definisce magico, in cui si incontrano
strani personaggi, in cui una donna cieca cavalca senza problemi il suo
destriero, in cui una coppia di gemelli vive in uno stretto ed indissolubile
legame, in cui i cavalli sono liberi di pascolare in un prato, senza
costrizioni a separarli dalla natura. È in questo luogo, silenzioso e ameno,
che Nina conosce Bartolo, colui che, secondo la nonna, contro il parere della
madre, potrà restituire ad Holden la capacità di tornare a correre.
È
con Bartolo che Nina imparerà la lezione più grande: apprezzare anche le
piccole cose, un cibo mai assaggiato, un tramonto mai osservato, l’affetto che
proviene da chi poco prima non si conosceva, essere vista davvero, per quello
che è, amare la natura, saper fare il bene del suo cavallo, senza pensare ad un
tornaconto personale. È con Bartolo che Nina imparerà ad amare un po’ di più se
stessa, a lasciarsi andare, anche alle piccole emozioni.
Un
libro che arriva dritto al punto, senza fronzoli, senza girarci tanto intorno,
in un linguaggio adatto anche a giovani lettori, in cui l’amicizia con il
proprio cavallo arriverà a diventare appartenenza ad una famiglia.
come sai io sono sempre molto felice quando i libri che ho amato vengono a loro volta amati da lettrici come te. felice davvero che abbia avuto questo effetto su di te
RispondiEliminaGrazie per questa recensione "viva" e carica di sentimento. Ne sono onorata oltre che straordinariamente felice!
RispondiEliminaSento parlare molto di questa autrice, dovrò leggerla!
RispondiElimina