Non è che io ami particolarmente le saghe familiari,
soprattutto se sono permeate da un’atmosfera cupa e negativa, magari ambientate
in dei secoli in cui diritti, che ora per me sono scontati ed ancora
fondamentali, apparivano come neanche ingiustizie, ma fatti di vita vera. Un
po’ mi spaventava leggere un romanzo storico ambientato in Sicilia, perché, per
quanto abbia amato la Sicilia realista descritta da Verga, avevo il timore di
sentirmi addosso ancora tutto il peso e l’angoscia di quegli anni.
Quindi perché questo libro? Perché, in fondo, ne sono stata
attratta dalla sua prima pubblicazione ed ho confermato questo richiamo dopo
aver letto un racconto della scrittrice Auci, in una raccolta nata sotto la
pandemia Andrà tutto bene.
La scrittura è molto semplice, lineare, scorrevole, senza
grossi trambusti, a parte un uso frequente, forse frequentissimo, del dialetto
siciliano (devo dire che seppur io non sia lontanamente siciliana, purtroppo,
non mi abbia infastidito per niente, forse perché il senso generale era più che
comprensibile).
Come dicevo all’inizio, non sono avvezza alle saghe
familiari, ma da questa mi aspettavo un po’ più di passione, di verve, di
vedere un lato sentimentale della famiglia spiccare di più, ed invece
l’autrice, non so se per sua scelta e volontà, si concentra molto di più
sull’aspetto lavorativo dei Florio, più che sulla rete che intreccia i loro
molti, dissimili e tenaci sentimenti. È una pecca? Assolutamente no, ma se si
affronta la storia di una famiglia, soprattutto meridionale, in cui la famiglia
resta il punto centrale e focale della loro esistenza, mi aspetterei che
l’aspetto privato della storia abbia un maggior peso e sia osservato da più
parti ed anche più a fondo.
Esiste un personaggio principale? Nella prima metà del libro
il racconto si concentra sui due fratelli Florio, Paolo ed Ignazio, che dalla
Calabria si trasferiscono a Palermo per aprire la loro aromateria, per darsi
una possibilità di vita migliore. La moglie di Paolo, Giuseppina, tenace in
vita, fin oltre la vecchiaia, unica sopravvissuta della triade partita dalla
Calabria, è colei che ci metterà più tempo ad accettare il trasferimento e la
crescita del suo unico figlio, Vincenzo. La seconda parte del romanzo è tutta
incentrata proprio su Vincenzo e sulla sua crescita, più che personale,
lavorativa.
Lo spaccato che l’autrice ci regala di una Sicilia, sempre
più separata dal Continente, per decisioni politiche, la situazione sempre più
precaria di un meridione che aveva altissime potenzialità ma che spesso si sono
frantumate senza successo, è non solo veritiero, ma anche dannatamente triste.
I Florio alzano il capo e se ne infischiano di quello che molti palermitani,
pur servendosi quotidianamente nella loro bottega, pensino di loro, e cioè che
non sono siciliani, ma sono forestieri; i Florio vanno avanti per la loro
strada e non solo accumulano sempre più ricchezze, ma sperimentano, vanno oltre
la loro condizione.
L’apparato storico è molto vivo e la descrizione efficace e
veritiera, sembra quasi di ascoltare i rumori di una Palermo in continuo
fermento o annusare gli odori del porto, è tutto molto curato, dal punto di
vista stilistico e storico, senza sbavature o tentennamenti.
Libro molto pubblicizzato che anche io volevo e non volevo affrontare. Visto la tua recensione dettagliata e chiara ho deciso di non leggerlo, per ora, per quella "mancanza" dell'aspetto privato da te ben descritta.
RispondiEliminaadoro le tue recensioni e ho capito che non è il libro adatto a me
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